Come sempre quando ci si avvicina alle elezioni, si assiste a qualsiasi televendita elettorale. Quello che sconcerta, dopo anni, è costatare come sia inarrestabile e, al contrario, abbia raggiunto derive imperturbabili, tacitamente accettate, il populismo e tribalismo politico snocciolato tra roboanti proclami, avveniristiche riforme, seducenti nei contenuti ma irrealizzabili sotto il profilo finanziario.
Dovrebbe essere tangibile, banalmente evidente, anche senza essere degli esperti, semplicemente cittadini abbastanza informati che una proposta politica verosimile è quella documentabile, con tutte le coperture necessarie. Per questo vicina alla realizzazione, perciò opzionabile.
Che non significa accontentarsi, piuttosto procedere nella credibilità, nella verosimiglianza che sottintende un’analisi accurata di ciò di cui si parla, uno studio precedente.
Senza farsi sedurre da analfabetismi politici, effetti lisergici, chimere, il nuovismo fine a se stesso, valore aggiunto solo in quanto mai sperimentato prima. Basta. Eppure non sembrerebbe, ancora, bastare.
A giudicare dalle generalizzazioni e profluvio di fakenews. Trovo più rivoluzionario e dirompente un programma “contenuto” e circoscritto ma credibile, fatto di punti verosimili, che toccano istanze urgenti con mezzi congrui e ai quali tutti possono accedere con un mandato politico.
Bastano buona volontà, onestà e capacità politiche d’attuazione, sapere scegliere e farlo, circondarsi di tecnici capaci. La precarietà e l’inconsistenza dell’oggi, generalizzata, che tutti permea, ci hanno invece reso acritici e più condizionabili nelle scelte immediate, potenziali sabotatori del noto. Spariglianti.
Ecco, allora, imperversare il voto umorale, farsi breccia la sirena lisergica che vellica la pancia, che regala l’illusione di un riscatto, prossimo, in una realtà distopica travestita da verosimile.
Costituisce un valore, il fatto che la proposta sgangherata è quella di chi ancora non ha avuto il coraggio di governare restando, sempre, all’opposizione o volutamente cimentato nell’arte di contrastare e ostacolare, biasimando senza proporre scelte realizzabili.
In questo modo, alla velocità di un click, di un like e dislike, di una faccina ha potuto conservare intatta una verginità politica e istituzionale.
Ormai, però, lo abbiamo compreso: questo giochetto è imploso nelle mani e nei discorsi di chi se ne ammantava.
Ci è bastato poco, se mai avessimo nutrito qualche dubbio.
Si perora e sostiene il cambiamento da “dentro”, dal “noto” del quale si conoscono già tutti i limiti.
Non serve inseguire nuovi stendardi, forze futuribili, pseudo partiti e movimenti zoppi, erratici, tartaglianti, che deficiano di logica e coerenza, che si contraddicono di continuo.
L’incoerenza in Politica disvela la mancanza di un programma logico, di una comunicazione pertinente, di una visione organica e strutturata, l’assenza di esperienza.
L’urlo sguaiato e il compulsare feroce sulla tastiera, alla velocità della luce, non convincono più.
Sono già passato prossimo.
Non basta la discontinuità dell’offerta, fine a se stessa: bisogna provare a governarlo un territorio.
Dispiacciono le argomentazioni di chi non vota, invalida, spariglia.
Nessuno ha l’ardire e la fortuna di essere felicemente rappresentato da un’unica forza politica, ma questo non giustifica la scelta sbagliata o, peggio, “contro”.
Quella che destabilizza qualsiasi credibile pronostico, maggioranza in grado di essere misurata, di avere i numeri per provare a cimentarsi in un mandato.
Ricorrere alla serietà delle persone, alla loro responsabilità, alla scelta del “meno peggio” ma collaudato e con gli anticorpi contro la deriva anarcoide, populista, nazionalista, protezionista, antieuropeista e xenofoba costa molta fatica ed è la scelta più rivoluzionaria e difficile.
Ci resta cambiare dal di dentro, sperare che un partito che non sentiamo più affine, anzi contradditorio, poco rappresentativo della nostra storia con annessi valori e disagi possa evolvere con noi, accogliere il nostro malcontento coinvolgendo vecchi e nuovi rappresentanti istituzionali, fondendo e compattando le sue anime più diverse.
Un’amica mi chiedeva, pochi giorni fa, cosa avrei detto a un ipotetico figlio che, raggiunta la maggiore età, non avesse voluto votare. Che cosa avrei detto o fatto per convincerlo a ricredersi?
A esercitare il proprio diritto/dovere?
Come lo avrei convinto?
Mi sono interrogato molto e con il pensiero, spesso, ci sono tornato.
Perché, pur non avendo un figlio, so esattamente cosa gli direi.
Non basterebbe a muoverlo al voto, magari, ma in coerenza so di quali argomentazioni mi avvarrei per stimolarlo.
Per me il voto è e continuerà a essere, prima di tutto, un dovere.
L’unica possibilità, concreta, che ho di imprimere un’accelerazione, smuovere qualcosa, incidere sulla realtà.
Lo devo fare, perché quel che do per scontato al punto di interrogarmi se disporne o no, dell’esercizio di questo diritto tanto sono esacerbato dalla distanza, è che in alcune zone del mondo e regimi dittatoriali non è ammesso.
In Italia le donne hanno acquisito il diritto al voto nel 1946.
Il suffragio universale è battaglia recente, non scontata, successiva a un referendum importante.
Questo direi a un figlio, questo rammento ogni giorno.

25stilelibero